> Ogni giorno, all'ora in cui l'ombra cadeva esattamente tra le colonne del Portico Orientale, Sariel si alzava.
Non dormiva, perché gli angeli non sognano. Ma sedeva, con le mani raccolte sul grembo, come in attesa.
Poi si alzava.
E cominciava a contare.
Uno.
Il primo gradino era screpolato, segnato dal peso delle ere. Nessun piede l'aveva più calpestato, se non il suo.
Due.
Il secondo portava l'incisione sbiadita di un nome angelico, cancellato dal tempo o forse dal dolore.
Tre.
Saliva così, senza fretta, con il passo di chi ha dimenticato la destinazione ma non il dovere.
Ogni mattina. Mille e sette gradini. Sempre gli stessi.
In cima, il Tempio Superiore.
Spoglio, ma ancora sacro.
Sariel si inginocchiava dinanzi all'altare spento, dove un tempo bruciava la Fiamma della Voce — il segno della Presenza.
Ora, solo pietra fredda.
Ma lui pregava lo stesso.
"Tu che fosti, che sei, che sarai.
Benedetto il tuo Nome, anche se tace.
Sia fatta la tua volontà, anche se non la comprendo.
Perché tu sei Amore, e l'amore non ha bisogno di prove."
Non cercava miracoli. Non chiedeva risposte.
Solo che il giorno finisse come era cominciato: nel servizio.
Quel giorno, però, mentre piegava le ali per alzarsi, sentì qualcosa.
Un battito.
Lieve. Umano.
Qualcuno aveva messo piede nel Tempio.
E non era un angelo.